Un milione di donne: via Berlusconi

di Maria Novella De Luca, La Repubblica, 14 febbraio 2011

C’ È LA voce di Nada che canta “Ma che freddo fa” mentre piazza del Popolo si svuota, e la manifestazione delle donne invade la città. FACCE giovani, adulte, anziane, con le rughe, senza, semplici, belle, immigrate, bambine, bambini, studenti, nonni, padri, famiglie, madri, sorelle. Sorrisi, abbracci, è stata una festa, anzi festa grande. Ballano tutte e tutti andando via, sul palco, sotto il palco, quante generazioni camminano per mano, «adesso basta, riprendiamoci il futuro». Il pomeriggio non è nemmeno freddo, il cielo ha i colori rosati dello striscione che ancora avvolge la terrazza del Pincio, quella bandiera srotolata giù dopo 90 secondi di silenzio perfetto ma denso come mille voci, con la scritta che sintetizza tutto: “Vogliamo un paese che rispetti le donne, se non ora quando?”. E poi sì, il grido liberatorio della piazza piena fino all’ inverosimile, migliaia di persone che alzano le mani e dicono: “Adesso”, sulle note di Patti Smith e di People have the power. Quasi duecentomila a Roma, un milione in tutto il mondo: è stata un successo la grande giornata di mobilitazione per il rispetto delle donne, organizzata dal comitato “Se non ora quando”, con i toni della festa sì, ma della festa seria, «sono Lia ho settant’ anni e mantengo ancora figli e nipoti”, «sono Giulia, ho 40 anni, non voglio che mia figlia cresca in un paese dove il Premier porta in Parlamento le sue escort». Nessun simbolo, ma centinaia di sciarpe bianche, gli ombrelli rossi dei comitati delle prostitute e tanti cartelli scritti a mano che parlano di vergogna, di corpi violati, ma anche delle conquiste delle donne, una bambina mostra una foto di Rita Levi Montalcini, sotto c’ è scritto: “Da grande voglio essere lei, non Rubyo la Minetti”. Sul palco arrivano le voci e la fatica di vivere delle donne italiane, parlano Susanna Camusso, Giulia Bongiorno, Alessandra Bocchetti, Cristina Comencini, Francesca Izzo, Isabella Ragonese, Suzanne Diku, Suor Eugenia Bonetti, missionaria dell’ ordine della Consolata. «Non ne possiamo più», grida suor Eugenia nel suo abito monastico grigio ferro, e le sue parole scuotono la piazza fino nelle viscere, qualcuno, anche, si asciuga le lacrime, quando Eugenia Bonetti racconta delle nuove schiave, della tratta, del mercato del corpo delle donne. Ci sono le studentesse nella folla così folta che quasi non si respira, quelle che animano e fanno vivere il movimento nelle università, sui tetti. Applaudono Sofia Sabatino, che legge una lettera indirizzata a Ruby, simbolo ormai forse estremo dello stile Arcore, ma pur sempre, ancora, una diciottenne. «Tu hai la stessa nostra età, ma sembra che tu stia dall’ altra parte della barricata. La televisione e la società ci hanno obbligato a scegliere tra corpo e mente. Ma la libertà esiste solo se corpo e mente stanno insieme». Angela Finocchiaro tiene il filo rosso degli interventi, l’ ironia contagia testee cuori. Si cita la scrittrice Rosetta Loy: “Le parole fra noi leggere”, la poetessa Patrizia Cavalli recita la sua orazione civile, “Patria”. Ci sono le madri e le figlie. Quelle che si ricordano le fiaccolate contro gli stupri, e le lunghe marce notturne per riprendersi le città ostaggio della violenza. «Se non ricominciamo a parlare, a farci sentite – ragiona Rosanna Brunelli, prepensionata della Pubblica Amministrazione – torneremo lì, a quegli anni, quando la violenza sessuale era una legge contro la morale e non contro la persona…». Sembra impossibile, ma chissà. La gente continua ad arrivare a ondate, in molti restano fuori, la ressa è forte, inspiegabilmente il traffico non è stato bloccato fin dopo l’ inizio della manifestazione, forse per imperizia del Comune, forse perché il successo è andato oltre il previsto, qualcuno parla espressamente di «tentativo di boicottaggio» di questo pomeriggio così intenso e vero. Un corteo si stacca, prova a “sfondare” verso Montecitorio, ma è solo una frangia, uno spezzone. Lunetta Savinio legge uno dei “Monologhi della vagina”, si ride, ma si pensa anche, Lia e Ada hanno i capelli bianchi e sono qui con tre nipoti, «il problema non è Ruby, i nostri ragazzi sono sani, sanno che il sesso e l’ amore non sono quella roba là, il problema è un governo che li condanna a non avere futuro». Ed è infatti il vivere quotidiano di un paese stremato che tracima dalle parole delle donne lette sul palco. «Scrivo perché sono disoccupata e aspetto un figlio». «Sono qui perché ho tre figli in tre scuole diverse, un marito che ha orari diversi, i supermercati che chiudono quando esco dall’ ufficio, ma a nessuno importa niente». «Combatto perché so cosa vuol dire essere toccata da un uomo che potrebbe essere tuo nonno». I politici ci sono, ma restano dietro il palco. Rosy Bindi attraversa la piazza, in molti la fermano, vogliono parlare, chiedono. Rita Riccardi, insegnante di inglese precaria: «Sono qui perché Berlusconi se ne deve andare, ho due figlie di 27 e 21 anni e un avvenire totalmente incerto». E un po’ ovunque spuntano i cartelli con musi di maiale e Berlusconi ritratto mentre sibila: “Oink oink”, il verso dei suini nei fumetti. Gli applausi sono per tutte. Susanna Camusso, segretario della Cgil quando dice «il Paese che vorremmo è quello che rappresentiamo noi», Alessandra Bocchetti, voce storica del femminismo che afferma, «vogliamo donne ministro che escano dalle grandi università, non dal letto sfatto di un potente». Ma ci sono anche loro, mariti, compagni, padri. «Non esiste differenza di sesso quando si parla di dignità- s’ infervora Guido Rametti, qui con Maria e Giulia, moglie e figlia – il paese reale è molto diverso da quel luogo perverso che raccontano Berlusconi e i suoi». La piazza si svuota, lentamente, è quasi buio, lo sguardo corre in avanti: adesso c’ è l’ 8 marzo, poi, gli Stati generali delle donne italiane. Per continuare ad uscire dal silenzio.

 

 


6 commenti on “Un milione di donne: via Berlusconi”

  1. ALFREDO ha detto:

    Complimenti e congratulazioni alle donne che hanno dato vita alle manifestazioni. Abbiamo rivisto la “politica” in piazza, come dovrebbe essere e come speriamo torni ad essere. Solo le donne e i giovani, come li abbiamo visti in occasione delle proteste per la riforma Gelmini, possono veramente cambiare lo status quo, visto che i maschi all’opposizione non se ne sono dimostrati capaci.
    PIAZZA PULITA è una definizione che non ho visto ne’ sentito in nessuna cronaca, ma a me piace molto perché quelle del 13 erano veramente tutte PIAZZE PULITE nelle quali ha avuto inizio una storia che potrebbe portare finalmente a fare davvero PIAZZA PULITA della brutta politica che abbiamo subito e subiamo ormai da troppo tempo. Continuate così e non “corrompetevi” mai. Ciao a tutte, Alfredo Castagnetti – Modena

  2. naika ha detto:

    purtroppo non ho partecipato xche vivo in germania.
    Ma lotto con voi!!
    Lotto x me ,e x tutte le donne,grazie da naika

  3. Pasquale D'Ascola ha detto:

    Il mio commento è che vorrei essere a disposizione, se c’è del comitato di se non ora quando”.
    P.f. avete la mia mail.

    Qui due parole di barricata:

    “Fuori tutti e fine di un’ era. Fuori Bersani, fuori Veltroni, fuori D’ Alema, fotografati tra la folla con le rispettive mogli. Il Pd è ammesso, ma solo al femminile. Ci sono Bindi, Finocchiaro, Turco, Melandri. E poi attrici come Valeria Solarino e Sabrina Impacciatore. Commuove l’ appello «alle autorità civili e religiose» di suor Eugenia Bonetti, una vita tra le ragazze abusate.”

    Care compagne di sventura, 4 righe icastiche. Fuori tutti: è quello che occorre domandare. Almeno un po’ di coraggio dobbiamo domandarlo “a lor signori”. Si dimettano e si chiude il Parlamento. Governo tecnico ( ma se non è tecnico un governo a che serve?) del Presidente della Repubblica. Da qualcosa si deve partire prima che si realizzi il colpo di stato che è il prossimo goal del PDL ( non voglio provare per credere) o peggio che si rifacciano addosso un governicchio con loro signori, a D’Alema non parrebbe vero, pur di non perdere tutti. Hanno già perso. Fuori tutti sì.

  4. Gianfrancesca Lello Edoardo Liberio ha detto:

    Vorremmo un 8 marzo meraviglioso, con il sole a scaldare le piazze d’Italia tutte e in tutte le piazze tutte le donne di tutte le età,di tutti i ceti economico/sociali,di tutti i livelli culturali accompagnate (non guidate)da tutti i loro uomini compatte a cantare a milioni il “Se non ora, quando?” II°atto per continuare la pulizia del paese. E che una sciarpa bianca per tutti sia il segno comune di riconoscimento sempre e ovunque! Gianfrancesca e Edoardo.

  5. ornella ha detto:

    l’ho scritto circa un’ora fa. Sciarpa bianca oppure gialla come la mimosa e il sole.
    Separarsi in vari cortei: del 13 febbraio o delle femmineste o altro, ci separa ancora una volta. Invece tutte e tutti insieme, senza mimose (salviamo almeno le mimose), con sciarpa bianca,oppure gialla.
    Il fiocchetto rosa non mi appartiene. Non mi piace. Metterò la sciarpa bianca del 13 febbraio.

  6. simonetta ha detto:

    http://www.facebook.com/event.php?eid=195205350503998&ref=mf
    Riprendiamoci le nostre vite indecorose e libere!

    Negli ultimi mesi un’energia nuova e dirompente è emersa dalle mobilitazioni delle università e dei precari, dalla resistenza degli operai e dei migranti, fino a giungere alle ribellioni dell’Egitto e delle coste del Mediterraneo.

    E’ un grido di rivolta che denuncia un sistema sociale ingiusto e si rifiuta di pagarne i costi.

    Il 13 febbraio scorso noi donne ci siamo opposte alle politiche che soffocano le nostre vite e che hanno portato al progressivo restringimento dei nostri diritti e dei nostri spazi di libertà. Abbiamo attraversato piazza del Popolo, invaso le strade di Roma e ci siamo spinte fino a Montecitorio per “restituire al mittente” le leggi contro le donne approvate negli ultimi anni dai governi sia di centrodestra che di centrosinistra: le dimissioni in bianco, il collegato lavoro, la legge 40 sulla procreazione assistita, l’innalzamento dell’età pensionabile, il pacchetto sicurezza e tante altre.

    Anche l’8 marzo vogliamo riportare in piazza la stessa voce e, con lo stesso linguaggio impetuoso, rimettere al centro la questione della redistribuzione delle ricchezze: tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi, tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e chi non ha un lavoro.

    Vogliamo contestare chi mette in discussione la nostra autodeterminazione saturando le strutture pubbliche di obiettori di coscienza, limitando la diffusione della pillola RU486 o sostenendo la privatizzazione delle strutture sanitarie come i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio), luoghi che noi invece vorremmo reinventare partendo dai nostri attuali bisogni.

    Vogliamo ribellarci a una cultura e a un immaginario usati per controllare e disciplinare i nostri corpi e la nostra sessualità. Dal lavoro alla sanità, infatti, l’unico ruolo legittimato per le donne è quello di moglie e madre. Eppure spesso nel momento dell’assunzione ci vengono fatti firmare fogli di “dimissioni in bianco” che il datore di lavoro potrà tirar fuori nel momento in cui dovessimo dichiarare di essere incinte.

    Viviamo nel Paese della doppia morale, dove l’unico modello accettato e promosso è la famiglia eterosessuale, quella stessa famiglia in cui, come le statistiche ufficiali ci raccontano, avvengono la maggior parte delle violenze sulle donne attuate da mariti, compagni e padri. E’ anche per questo che rifiutiamo la precarietà: perché ci obbliga a dipendere economicamente e culturalmente da un modello relazionale che ci impedisce di poter scegliere dove, come, quando e con chi essere o NON essere madri.

    Eppure la stessa retorica familista che dichiara di promuovere e sostenere la genitorialità, di fatto ne ostacola la possibilità a lesbiche, single, gay, trans e a tutti quei soggetti che sfuggono alla norma eterosessuale e cattolica. Ed è sempre la stessa logica che da un lato stigmatizza e criminalizza le sex workers attraverso pacchetto sicurezza e campagne moraliste e sul “decoro”, e dall’altro ne fa un uso “spettacolarizzato” e strumentale al piacere maschile diffuso all’interno dei Palazzi del potere, ma non solo.

    L’8 marzo scenderemo in piazza anche per smascherare le politiche razziste di questo governo che sfrutta il lavoro di cura svolto per la maggior parte da donne migranti e contemporaneamente le trasforma in “pericolose” protagoniste dell’“emergenza immigrati” oppure le priva della libertà e le rende vittime di violenze nei CIE.

    Per tutte queste ragioni saremo in piazza l’8 marzo, per rivendicare diritti e libertà, perchè i nostri desideri non hanno né famiglia né nazione, noi non siamo “italiane per-bene”: siamo precarie, studentesse, lesbiche, trans, siamo donne che rifiutano il modello di welfare familistico, nazionalista, cattolico ed eterosessista.

    Vogliamo riappropriarci delle nostre voci e dei nostri corpi e anche delle strade, della notte e delle nostre relazioni: rivendichiamo diritti, welfare e autodeterminazione.

    Siamo tutte DONNE in CARNEvale e OSSA!!

    L’otto… m’arzo e m’arrivolto!

    CORTEO NOTTURNO – MARTEDì 8 MARZO 2011

    Partenza ORE 18 – Piazza Santa Maria in Trastevere – Roma


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