La vita è il costo del tuo lavoro. Lettera a un’operaia che muore

di Edoardo Nesi su Corriere della Sera 4 ottobre 2011

Il costo del tuo lavoro è la vita. La tua vita. Sei un’operaia e vai ogni giorno a lavorare in uno scantinato. Lo scantinato è un opificio. Una maglieria. Tu confezioni maglie. Un giorno cominci a sentire strani rumori che non hai mai sentito prima. Sono come dei gemiti, degli scricchiolii. Non vengono dalla strada vicina, o dalle macchine davanti alle quali lavori. Vengono dalle mura del palazzo. Ti chiedi cosa possano voler dire. Non puoi accettare che siano ciò che pensi. Ti dici che forse è normale sentire degli scricchiolii, in un palazzo così vecchio. E continui ad andare a lavorare. Ogni giorno. Ti chiedi se non dovresti parlarne con qualcuno. Coi sindacati, coi vigili. Con la polizia. Coi carabinieri. Ma non lo fai. Ti scordi di farlo. Preferisci scordarti di farlo, forse. Ogni giorno vai avanti, e torni lì, a lavorare. Perché devi. Devi pagare la spesa, i vestiti dei bambini, il mutuo. Continui a lavorare. È quello che fai, che hai sempre fatto. Lavori sepolta in uno scantinato per combattere la concorrenza di altri disgraziati come te. Sei impegnata in una competizione crudele con altri lavoratori che lavorano in altre fabbriche, in tutto il mondo. Fabbriche probabilmente più sicure dello scantinato in cui lavori tu. Ma non importa. Devi lavorare e lavorerai. Non credi davvero possibile che un palazzo possa cadere. E poi, proprio su di te. Ti dici che queste cose è molto difficile che succedano. Che non succederà proprio a te.

Il costo del tuo lavoro è la tua vita, ragazza mia. E non dovrebbe essere così. Non è giusto che sia così. Non quando con il tuo lavoro stai producendo parte dell’eccellenza mondiale. Il Made in Italy. Perché non importa quale sia la qualità delle maglie che produci. È merce fatta in Italia. Ha un valore misurabile, e lo si applica a ogni straccio e a ogni accessorio che venga prodotto nel nostro Paese. Da chiunque. Decine e decine di migliaia di cinesi sono venuti e continuano a venire a lavorare in Italia, chiusi in scantinati come il tuo, per poter produrre merce Made in Italy. Sei parte di una catena di lavoro che un tempo era una cosa gloriosa, ragazza mia, l’orgoglio e il vanto della nostra nazione, e oggi invece non ha più alcun senso. Ricordalo, e salvati.


6 commenti on “La vita è il costo del tuo lavoro. Lettera a un’operaia che muore”

  1. Maddalena ha detto:

    Forse per salvarsi quella ragazza non dovrebbe avere bisogno di lavorare in quello scantinato, accettando il ricatto “o si lavora così, o niente”. Senza contare il fatto che le morti delle cinque “magliare” dovranno pesare su chi ha controllato l’edificio crollato, non predisponendo le opportune cautele per l’incolumità di chi lavorava nello stabile contiguo. E qui è il punto: l’accertamento delle responsabilità è sempre cosa ostica in Italia, così come è accaduto cinque anni fa a Montesano sulla Marcellana (Sa), allorchè in uno scantinato morirono bruciate due operaie che lavoravano in nero per due euro all’ora.

  2. Donatella ha detto:

    Quante ragazze prima di te? e quante dopo di te? Italiane, cinesi, rumene o altro, il mercato è globale come pure la morte è globale e scontata , inglobata nella logica del profitto. Smettiamo di essere farisei, smettiamola con l’ipocrisia quelle ragazze sono morte perchè era nella logica della produzione, del pil che stava scritto che potevano morire, perchè le loro vite erano materie scecondarie di scarsissimo valore, facili da reperire in quantità abnorme e a prezzi sempre più stracciati. E’ così ,ma ci raccontiamo che sono incidenti, accidenti, eccezioni non regole; in parte è vero la regola è che le giovani ragazze fanno e faranno una vita di merda sottopagate, umiliate, frustrate, poi eccezionalmente a qualcuna di loro…(le più sfortunate) toccherà di morire in una disgrazia del genere o similare. Figlie mie dilette, ribellatevi, tirate fuori la vostra rabbia, la vostra forza e ribellatevi a questo mostro che chiamano mercato, a questa divinità fatta di morte e non di vita. In voi ,nella votra storia, nel vostro dna culturale ci sono le impronte, le ombre di anni e anni di storie di centinaia di donne che si ribellarono prima di voi e anche per voi, ascoltatele e seguitene l’esempio. Marie Charpentier, coniugata Hanserne, lavandaia della parrocchia Saint- Hippolyte del faubourg Saint-Marcel fù l’unica donna che partecipò alla presa dell Bastiglia, è anche grazie a lei e tante altre sconosciute che possiamo ancora trovare la forza di ribellarci a questa logica mercantilistica aberrante che ci vuole succubi

  3. povere persone ,cittadine sole,abbandonate e senza il giusto rispetto….questo scritto é splendido e devastante si direi che non si puo piu’ rimandare…..far finta che si puo’ ancora andare avanti cosi…..
    MERITIAM RISPETTO OVUNQUE,
    Alessandra

  4. Franco Valletta ha detto:

    BISOGNA CREDERE IN QUALCOSA….DISPERATAMENTE-PER AVERE IL CORAGGIO DI VIVERE IN QUESTO MONDO DI MERDA…ADESSO NESSUNO E’ RESPONSABILE…POLITICI -CLERO-COMUNE-POLIZIA-ECC.ECC.

  5. stefania ha detto:

    Io penso che troppo spesso ci si piega a condizioni lavorative disumane, non forse per il gusto del sadomasochismo, ma solamente per il bisogno di guadagnare quei 4 soldi scarsi che t permettono di sopravvivere e non di vivere… condizioni come queste se ne riscontrano tante altre, sparpagliate qua e la in paesini o città di un paese cosi detto civile? ma dov’ e la civiltà?? dov’ e il rispetto per il prossimo e il rispetto del lavoratore? Dov’ e il lavoro? Io personalmente avendo sempre accettato qualsiasi tipo di lavoro, pur di lavorare, n mi stupisco ne di questo ne di tanto altro. La sicurazza sul lavoro oggi, nn e un diritto ma un lusso che nn tutti si possono permettere.
    stefania- novara

  6. silvia messina ha detto:

    …e oggi, nel giorno dei funerali, invece di partecipare, il “nostro” premier scherza sul “partito della gnocca”………..credo inutile qualsiasi commento!!!!!


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